MILANO – Avete presente i sacchetti di plastica vietati dal 2011 nei supermercati? Non è detta l’ultima parola, potrebbero tornare. L’Unione Europea ha appena inviato una lettera di richiamo all’Italia. «Avete esagerato – dicono in sostanza da Bruxelles -. Il vostro divieto alla circolazione dei sacchetti con spessore inferiore ai 60 micron non è giustificato. Non potete vietare la circolazione di un bene che è conforme agli standard europei degli imballaggi. Se proprio volete essere “ecologici” dovete limitarvi a disincentivare l’utilizzo dei sacchetti di plastica usando la leva fiscale».
Che cosa si fa allora? Dietrofront? Al ministero dell’Ambiente si stanno valutando tutte le vie d’uscita.Dal cambiamento della legge entrata in vigore la scorsa primavera fino al muro contro muro. Nell’attesa che si chiarisca la situazione, resta una certezza: da gennaio chi commercializza sacchetti di plastica fuori norma (con spessore inferiore ai 60 micron) dovrà pagare dai 2.500 ai 100 mila euro. Il decreto Sviluppo, infatti, anticipa di un anno l’entrata in vigore delle sanzioni rispetto alla legge 28/2012.
L’intervento della Ue riaccende il confronto tra le ragioni – da una parte – delle aziende che fino al 2010 producevano i sacchetti di plastica tout court o di plastica additivata (biodegradabile ma non compostabile) e dall’altra delle imprese (spesso multinazionali, tra cui la Novamont di Novara, ma non solo) che producono bioplastiche. Le esigenze dell’ecologia si intrecciano con quelle del lavoro e della politica industriale. Ma per capire di cosa stiamo parlando vale la pena di ricordare la legge in vigore. In sostanza, i sacchetti monouso (quelli del super, per intenderci) devono essere non solo biodegradabili ma anche compostabili, e quindi prodotti con bioplastiche (risultato della lavorazione di amido di mais o di patate, per esempio). Quelli riutilizzabili possono essere di plastica ma devono avere uno spessore minimo che non scende mai sotto i 60 micron (per i sacchetti usati dai negozi di abbigliamento e calzature, per esempio) ma può arrivare fino a 200 per le borse a uso alimentare.
«L’esasperazione ambientalista ci ha portato a fare un passo sbagliato – si accende l’onorevole del Pd Stefano Esposito -. Si è ucciso un pezzo del sistema produttivo. Mi auguro che Legambiente chieda scusa alle centinaia di aziende che abbiamo messo sul lastrico». Per restare all’interno dello stesso partito, di tenore opposto è la reazione del senatore Francesco Ferrante, direttore di Legambiente fino al 2007: «Ci sono gli estremi perché l’Italia si opponga alla scelta dell’Ue. Un Paese membro può invocare la clausola di salvaguardia ambientale».
Il rebus dei sacchetti ormai dal 2007, anno in cui si cominciò a parlare della questione, ha diviso centrodestra e centrosinistra in modo trasversale. Nel mondo produttivo, sul fronte degli strenui avversari della legge ci sono le imprese di Assoecoplast, che avevano puntato sulla possibilità di produrre sacchetti monouso con plastiche additivate. Una soluzione oggi vietata senza se e senza ma. Negative anche le aziende di Unionplast-Confindustria. «Parliamo di un centinaio di attività e di 4.000 dipendenti – spiega il direttore generale della Federazione gomma plastica di viale dell’Astronomia, Angelo Bonsignore -. L’entrata in vigore delle sanzioni mette tutti fuori mercato da subito. Stiamo chiudendo». Possibiliste le piccole e medie aziende associate ad Apibags. «Abbiamo cominciato a produrre sacchetti in bioplastica. Certo, i costi sono più alti. E gli spessori dei sacchetti in plastica sono davvero eccessivi», argomenta la presidente, Simona Paratore.
Sul fronte opposto, Assobioplastiche, l’associazione delle imprese che producono sacchetti in MaterBi e simili. «I nostri materiali sono ecologici. Ma se vogliamo metterla sul piano del lavoro, nel nostro Paese si stanno insediando multinazionali straniere e molte imprese italiane si stanno riconvertendo con successo – dice il presidente, Marco Versari -. Puntare su questo settore significa tutelare l’ambiente. E investire sul futuro».
Rita Querzè
Fonte: CORRIERE DELLA SERA
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